Andare per imparare
Gli undici apostoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
(Mt 28, 16-20)
- L’Ascensione è una festa difficile: come si può far festa per uno che se ne va? Il Signore però non è andato in una zona lontana del cosmo, ma, incredibilmente, è più vicino. Se prima era insieme con i suoi discepoli, ora è dentro di loro. Non è andato al di là delle nubi, è sceso nel profondo delle cose, è andato nell’intimo del creato e delle creature.
Ha scritto Benedetto XVI: “Ascensione non è un percorso cosmico-geografico, ma è la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo”.
Il mio cristianesimo è la certezza forte e inebriante che tutti i giorni, in tutte le cose, Cristo è presente, forza di ascensione del cosmo. Il Signore non devi conquistarlo, non devi raggiungerlo: è già dentro, si è dato e rimane: “Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
- Forse se cerchiamo di sostare su tre parole di questo brano evangelico riusciamo a cogliere intriganti messaggi: andarono in Galilea, essi però dubitarono, andate.
- “Andarono in Galilea”. I discepoli vanno in Galilea secondo l’indicazione che Gesù aveva dato. Perché proprio in Galilea, e non in Giudea che era il centro della vita religiosa giudaica, con il suo sfavillante Tempio di Gerusalemme?
La Galilea era la periferia, anzi era una terra disprezzata e ritenuta zona quasi pagana, perché confinava con i popoli pagani. Gesù scelse di annunciare il regno partendo dalla periferia.
Svolse la sua attività prevalentemente in quella odiata e malfamata terra che era la Galilea. Lì scelse i suoi principali collaboratori, lì proclamò il suo progetto, lì soprattutto realizzò i segni del Regno.
Gesù scelse ciò che è debole per confondere chi è forte e potente. Scelse di stare dalla parte degli ultimi, dei deboli e non dalla parte dei potenti, perché egli era convinto che non è con la potenza e la forza che si crea un mondo nuovo, un mondo umano, ma educando, accendendo le coscienze e ridando dignità ai poveri.
È una scelta che contiene la sua prima grande rivoluzione: l’uomo, di solito, cerca di allearsi con i potenti per attuare il progetto che gli sta a cuore. Gesù, al contrario, si è alleato con i poveri, gli impotenti, perché la novità e il cambiamento non vengono dall’alto, ma dal basso. Chi sta bene non pensa a cambiare le cose. Il cambiamento cammina sulle gambe dei poveri e degli ultimi. Anche per questo Papa Francesco non cessa di spingere i cristiani a partire dalle periferie esistenziali.
- “Essi però dubitarono”. Non sappiamo precisamente cosa voglia dire l’evangelista Matteo con l’espressione “dubitarono”, ma sicuramente intendeva tratteggiare il senso di incertezza che avvolgeva e tormentava i discepoli. Questi si sentivano deboli e fragili nell’intraprendere la loro missione. Ma forse il dubbio, la debolezza, la fragilità esprimono, per Gesù, i veri atteggiamenti del discepolo. Lo dice chiaramente anche Paolo in maniera quasi lapidaria: “Quando sono debole è allora che sono forte”! (2Cor. 12, 7-10). Se uno si sente debole e incerto va in cerca della forza che viene dall’alto e agisce non con la pretesa di avere la verità, ma con il desiderio di cercarla.
Oggi percepiamo che anche la vita consacrata è segnata dal senso del limite, dalla fragilità, dal peccato perdendo la sua immagine forte e volitiva! A questo proposito così si esprime Papa Francesco: “Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la sua testimonianza. Egli dentro le sue debolezze, può diventare più umano, più compassionevole”.
Nel suo libro Non perfetti ma felici, Fratel Michael Davide, così scrive: “Si dice che oggi i religiosi giovani sono fragili, ma forse in passato si era troppo spesso disumani. L’aspra e rigorosa osservanza poteva giocare un ruolo di rassicurazione e autoreferenzialità (sentirsi a posto con i propri doveri), quasi generava un orgoglio religioso. Accettare l’ambiguità che è in noi, saper vivere nella debolezza senza interrompere, ciò nonostante, il cammino e prendere coscienza che mai saremo la persona che abbiamo sognato, un militante puro e duro, è il modo di essere uomini e anche credenti. Occorre saper morire alle attese su noi stessi e saper vivere nella fragilità. Questo non per rinunciare a crescere, ma per accettarci come siamo e vivere in maniera realista: saremo più vicini al pubblicano che si pente e accetta la sua debole umanità, che al fariseo che si sentiva superiore perché era un rigoroso osservante (cfr. Lc 18, 9-14)”.
- “Andate” La chiesa è chiamata ad andare nel mondo per liberarlo, farlo crescere. Il centro della chiesa non è in se stessa, ma nel mondo. Dio non ama tanto la chiesa, ma il mondo e desidera che esso possa svilupparsi secondo il suo progetto di giustizia, di umanità e di crescita anche ecologica. Dio ama si la chiesa purché sia un popolo innamorato come Lui del mondo e si impegni a farlo crescere, sapendolo ascoltare e interpretando gli appelli che in essi lo Spirito invia.
Papa Francesco parla continuamente della chiesa in uscita, che va dentro le situazioni nel segno dell’empatia e della promozione e dice che il vero pastore deve avere “l’odore delle pecore”. La chiesa deve andare al mondo “per dare e per imparare”.
Due piccoli impegni
- La chiesa dovrebbe ripartire dagli ultimi.
- La persona, come pure il credente, cresce nella fragilità e nel dubbio