XVI Domenica del T.O.
C’è bisogno di pensare !
In quel tempo gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
(Mc. 6, 30-34)
Oggi il brano del Vangelo ci riporta una situazione umana che può interrogare anche noi. Gli apostoli si riuniscono attorno a Gesù e gli raccontano quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Gesù li ascolta e poi dice: “Venite in disparte voi soli, e riposatevi un po’”. Gesù non chiede loro di andare a pregare, semplicemente un po’ di tempo per loro, darsi del tempo per riposare. Saper trovare il tempo per fermarsi per recuperare le energie fresche, ma fermarsi anche per pensare, per riflettere.
Ricordo che ad un incontro a S. Egidio di Fontanelle a Sotto il Monte dove viveva padre Davide Turoldo, un giovane con molto calore sosteneva: “Noi siamo qui a ragionare, a discutere, a parlare, nel mio quartiere ci sono degli spacciatori che continuano a vendere morte e ci sono poveri e disoccupati che non riescono a procurarsi la cena. Noi siamo qui ci parliamo addosso e non muoviamo un dito”. Ricordo che padre Turoldo che pure era molto sensibile al problema della giustizia e della povertà, rispose più o meno con queste parole: “Ci sono cose ancor più importanti del fare e sono i motivi per fare: avere dei buoni motivi che muovano il cuore a fare”.
Sostiamo ora come sempre su alcune espressioni.
- “Venite in disparte e riposatevi un po’”.
Come già accennavo, c’è bisogno di riposo anche fisico. Oggi nei nostri ambienti si pensa solo a lavorare e non a riposare. Ma vorrei evidenziare una dimensione del riposo che è quella del pensare: fermarsi per pensare, trovare tempi e spazi per sviluppare un pensiero proprio. C’è bisogno di pensare oggi più di ieri. Ci sono molti che si accaniscono a non farci pensare, perché chi pensa in proprio fa paura, diventa pericoloso. Il potere sia civile che ecclesiale guarda con sospetto chi usa il proprio cervello.
Oggi molta gente, di fatto rinuncia a pensare, pensa con i pensieri degli altri. Si pensa con i pensieri della televisione, con i pensieri del proprio partito o del proprio giornale. Si ragiona con pensieri già prefabbricati. Non c’è l’allenamento ad arguire con idee proprie. Per aver pensieri personali occorre avere la capacità di dissentire anche dai propri amici, dal proprio partito, pure dalla propria Chiesa. Dissentire non è mettersi contro, ma non essere allineati e non essere allineati per dare il proprio apporto al partito, alla vita civile, alla Chiesa. Ciascuno di noi è una persona originale, unica, irripetibile che ha una sua sensibilità, un suo dono con cui leggere la realtà e dare il proprio contributo.
Io dico spesso che la Chiesa non deve essere un insieme di persone che obbediscono, ma di persone che pensano per darle una propria visione, trasmetterle il proprio sogno, la propria idea. La Chiesa non dovrebbe essere una comunità di ubbidienti, ma di pensanti. E pensare non tanto per essere contro (se occorre anche), ma per costruire una Chiesa più viva e più fedele al Vangelo.
Un’altra espressione a me cara è “il vero maestro non è colui che dà pensieri, ma che fa pensare”. Così la vera Chiesa, il vero magistero non è quello che infonde o peggio impone pensieri e definizioni, ma quello che fa pensare in modo che le persone si sentano creative e responsabili nel dare un apporto a trovare le strade per una fede nuova e una nuova Chiesa.
- “Gesù ebbe compassione perché erano come pecore senza pastore”.
Avverto sempre più che anche oggi “si è come pecore senza pastore” cioè riscontro che c’è nella gente, anche in noi cristiani, un senso di disorientamento, di smarrimento. Dopo secoli di cultura uniforme, in cui vigeva il pensiero unico, oggi sta disseminandosi una cultura plurale e questo pluralismo di idee e anche di morali inquieta molte persone. Le domande che molti si portano dentro, con sofferenza, sono: “Se Dio è unico ed è sempre uguale, perché tanti cambiamenti? Se il Vangelo è sempre lo stesso, perché esistono varie interpretazioni e vari modi di credere?”.
Papa Francesco vive e pensa diversamente da altri papi. E questa diversità tormenta le coscienze. Certo Dio è uguale per tutti, ma ciò che è e che cosa pensi nessuno lo sa. Dobbiamo cercarlo e ogni persona ha dei doni originali per capire qualcosa di Dio. Il Vangelo, certo, è sempre lo stesso, ma il modo di interpretarlo dipende dalle persone e anche dai tempi perché Dio parla attraverso i tempi. Ogni Papa è diverso e vive in un’epoca diversa e queste diversità sono delle opportunità per cogliere qualcosa di più del Vangelo. Ricordo che il cardinale Danielou diceva: “Quando i cinesi leggeranno il Vangelo vi scopriranno dei sensi e delle prospettive oggi a noi sconosciuti”.
Non si tratta di stravolgere il Vangelo, ma di capirlo meglio, di più. Dentro il Vangelo ci sono intuizioni, prospettive che vanno dissepolte. E questa opera di disseppellimento, di scoprimento è un’azione condivisa da tutti i cristiani. Siamo chiamati ad essere cercatori non del tesoro dell’oro, ma del tesoro del pensiero di Dio e di Gesù
- “Come cercare il pensiero di Dio?”.
Mi permetto di indicare due strade:
La prima è non delegare a nessuno la ricerca della verità. Ciascuno deve cercare le proprie motivazioni per poi fare delle scelte. Ciascuno deve rispondere a Dio di ciò che sceglie e ciò che fa. Certo queste convinzioni e scelte vanno cercate anche nel dialogo e nel confronto con altri. La Chiesa dovrebbe essere non solo il luogo della liturgia, ma il luogo dove le persone si incontrano per confrontarsi e per poter fare scelte più illuminate.
La seconda strada è risvegliare il maestro interiore che abita in ciascuno di noi.
La cultura orientale fa molta attenzione all’idea del maestro interiore: ciascun uomo è abitato da un maestro che, se interrogato e ascoltato, sa dare sapienza, indicazioni, discernimento.
Quando si parla dell’importanza del silenzio, del fermarsi, ci si riferisce proprio al nostro maestro interiore.
Dio è presente in ciascuno di noi mediante il suo Spirito, ma esso non è sempre visibile. E spesso vogliamo cercare la verità evadendo dal mondo interiore: ma è lì che il maestro abita. Dice sant’Agostino: “Entra in te stesso, in te abita la verità”.
La via per vincere la confusione e per vivere positivamente il pluralismo è questa: rientrare in noi stessi per ascoltare in profondità la voce del maestro interiore.
Due piccoli impegni
- Ognuno di noi è originale, chiamato a dare un proprio apporto alla scoperta del Vangelo.
- Non aver paura dello smarrimento: è la condizione per imparare a pensare.