II domenica di Quaresima
I discepoli sono smarriti !
In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”.
(Mt 17, 1-9)
Per cogliere bene il messaggio di questo episodio, detto della trasfigurazione, occorre precisare il contesto storico e la situazione di crisi che i discepoli, per primo Pietro, attraversavano. Sappiamo che l’idea del Messia era il sogno e l’aspirazione di tutto il popolo. Anche in Gesù albergava questo sogno continuamente risvegliato nella catechesi e nelle liturgie giudaiche. Ma come abbiamo più volte sottolineato la gente pensava ad un messia forte, potente che veniva a rifondare la religione e a ridare libertà e dignità al popolo. Era visto come il grande liberatore e anche restauratore politico.
Ad un certo punto Gesù comincia a parlare di morte, di sconfitta, di sofferenza. E dice chiaramente che il “figlio dell’uomo”, cioè il Messia, verrà catturato e verrà ucciso. Che Messia è se è un perdente? Se viene sconfitto? I discepoli e tutta la gente, non si raccapezzano più. Si smarriscono. Allora Gesù prende con sé tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni e va su un alto monte.
Mi soffermo a riflettere su alcuni particolari o espressioni del Vangelo.
- “Due personaggi, Elia e Mosè, conversano con Gesù”. Qual è il significato di questa conversazione? Gesù era giudicato eretico perché si distanziava dalle leggi e dalle regole religiose del suo popolo. Gesù sembrava non tener conto di Mosè, il grande legislatore, e di Elia il rappresentante dei profeti. Il fatto che ci sia un dialogo tra Gesù, Elia e Mosè, vuol dire che Gesù non è contro il passato, ma che egli è venuto a completarlo. C’è un legame tra Gesù e i profeti e l’antica alleanza. Non una rottura, ma una continuità, anzi il perfezionamento, il compimento. Allora, l’evangelista Matteo, che era l’animatore della comunità ebraico-cristiana, vuole rassicurare la perfetta continuità con il passato. Gesù quindi è una voce nuova, ma non contro il passato.
- “Ascoltatelo”. A mio parere il centro di tutto il racconto è la voce del Padre: Ascoltatelo!
Questo verbo “ascoltare” ha diversi significati: vuol dire “Fidatevi delle sue parole e del suo progetto”, “seguitelo, non staccatevi”. “Ascoltare” vuol dire anche saper leggere i segni dei tempi e non fermarsi al passato; “ascoltare” vuol dire mettere tra parentesi le nostre idee e le idee della nostra religione. Il rischio più grande è la religione, perché la religione pretende di definire Dio e la verità e non ti spinge a cercare, a camminare. La crisi dei discepoli, di Pietro in primis, è che Gesù si distanziava dai dettami religiosi, dalle regole della comunità giudaica. Il passare dalla religione alla fede è costoso, è perdere le sicurezze, lasciare i principi indiscutibili. Papa Francesco non parla più di principi non negoziabili. La religione porta a vedere Dio come pensato dagli uomini, la fede invece è camminare verso l’imprevedibile di Dio, perché Egli è una continua sorpresa.
C’è da sottolineare il linguaggio affettuoso di Dio Padre: questi è il mio figlio! Non so se l’evangelista pensasse al grado di parentela tra il Padre e Gesù, ma certamente di intimità e di confidenza, si!
E qui in questo “ascoltatelo” c’è il passaggio dall’alleanza di Mosè a quella di Gesù. L’alleanza di Mosè non viene tolta, ma completata.
- “Salì su un alto monte”. Anchequi c’è un raccordo e un richiamo a Mosè. Pure Mosè “sei giorni dopo va sul monte Sinai”. In Es. 24, 16 si dice: “Per sei giorni la nube coprì il monte e al settimo Dio parlò a Mosè”. Come già si accennava, Matteo era forse l’animatore della comunità ebraico-cristiana e questa comunità era più legata a Mosè che a Gesù, allora Matteo vuol annunciare che Gesù è il nuovo Mosè, e che Gesù non è in contrasto con Mosè, ma il suo compimento. Gesù compie, porta a pienezza, Mosè e i profeti. “Non è venuto per abolire ma portare a pienezza” (Mt 5,17). Però il monte ha pure un significato simbolico.
L’andare sul monte simboleggia lo staccarsi dalla quotidianità per cercare e ritrovare idee forse perdute, tensioni etiche, sguardi più ampi e aperti al futuro. Il nostro tempo, così a me sembra, si è appiattito sul giornaliero, sulle cose da fare, si è logorato dietro al desiderio di avere, dietro alla bramosia dell’accumulo, ed è povero di fantasia. Perché? Perché mancano pause in cui riposarsi, in cui ci siano lo spazio e il tempo per guardare lontano. Mancano le mete a lungo raggio, ci si adagia sull’immediato, sul concreto: la concretezza, beninteso, è un valore, ma non l’unico valore. Anche il sognare è un valore, oggi in crisi, valore disprezzato. Si cercano persone fornite di senso pratico, che sappiano organizzare e si trascurano quelle animate da pensieri liberi e da una fantasia fervida. “Niente è più concreto dell’astratto”, sosteneva Platone. Oggi, viceversa, sono ammirati i tecnici, non i poeti. Eppure il mondo ha bisogno di poesia: essa dà gusto alla vita, ravviva il sentimento, aguzza l’immaginazione. Essa nasce nel cuore di quanti sanno ritirarsi per pensare e per contemplare: il mondo ha bisogno di idealità.
Dobbiamo allenarci a pensare in grande: non si possono risolvere i problemi con idee troppo piccole, troppo ristrette. È necessario affrontarli con uno sguardo ampio, orientato all’orizzonte: “Agire nel concreto e pensare in grande”, era una delle affermazioni più frequenti di Tonino Bello, vescovo di Molfetta.
- “È bello per noi essere qui. Se vuoi facciamo tre tende una per te, una per Mosè e una per Elia”. Qual è il significato di tali parole? Pietro non accetta la passione, non accetta l’ostilità: vuole un messianismo glorioso: il messianismo della “pancia” non quello che rompe, ma quello che accontenta e accarezza i nostri istinti. “Io non sono venuto a portare la pace sulle terra ma la divisione” (Lc 12, 51). Il cammino della pace e della giustizia è conflittuale. Esige l’inserimento nella vita fatto di contraddizioni e anche di contrasti. Gesù accetta il contrasto, il dissenso. Egli non ama certo il dissenso e il contrasto, ma questo è l’unico modo per portare avanti il progetto di liberazione.
Così il discepolo, così la Chiesa non deve cercare i favori della gente, la benevolenza, ma il bene della gente e questo bene esige anche affrontare gli scontri e gli urti. Una Chiesa che non è perseguitata non è una vera Chiesa. La svolta costantiniana di una chiesa al centro e omaggiata ha fatto perdere il suo sale e il suo sapore. Pietro è per una chiesa trionfalistica!
Due piccoli impegni:
– Passare dalla religione alla fede.
– Il coraggio di una Chiesa combattiva.