XXIX Domenica del Tempo Ordinario
Un Dio servo !
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?” gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato””. Gli risposero: “Lo possiamo”: e Gesù disse loro: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono stato battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo di voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti”.
(Mc. 10, 35-45)
Due discepoli, due fratelli Giacomo e Giovanni, vanno da Gesù per chiedergli di essere nel suo regno, che sta per fondare, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, di essere l’uno ministro degli esteri, l’altro degli interni, cioè domandano i posti più prestigiosi.
Per cogliere meglio questa domanda occorre premettere che essi pensavano a Gesù come leader politico, che sarebbe venuto per liberare il popolo ebraico dalla dominazione romana e per innalzarlo dal momento che era popolo eletto sopra gli altri popoli, quasi con il mandato di dominarli. Essi sognavano il Regno politico di Israele. In questo contesto affiorano incalzanti riflessioni per noi, per la nostra chiesa e per il mondo di oggi.
- C’è la fuorviante tendenza nell’uomo a inserirsi nella vita, nella comunità, nella politica per servirsi più che per servire. Questa inclinazione è particolarmente vistosa nell’ambiente politico dove molti, (non tutti), vanno per avere vantaggi economici o per un prestigio personale, per sentirsi importanti. Non vanno per gli altri, per cercare il bene comune, per costruire un mondo giusto, vanno per se stessi. La corruzione che dilaga nella vita sociale, e non solo in Italia, nasce da questa volontà di servirsi del potere per finalità egoistiche e individualistiche.
Questa “corruzione” la si incontra non solo nella politica, ma a volte anche nella Chiesa dove la ricerca della carriera e dell’avanzamento verso posti di onore danneggia le relazioni e instaura un clima perverso di competizione e di gelosie, che Papa Francesco definisce “scandalo”.
Questo atteggiamento di competizione e di dominio è presente spesso nella vita di coppia dove i due invece che ascoltarsi , rispettarsi, arricchirsi vogliono prevalere. Ricordo un bellissimo corso per coppie di sposi dal titolo: “Valere e non prevalere”. Ogni persona “vale”, è un valore, ma sa riconoscere il “valore” dell’altro. Il “valere” costruisce, il “prevalere” distrugge.
Forse sta qui l’origine di tante crisi e separazioni coniugali.
- Cercare il potere è un male? Avverto che leggendo questa pagina del Vangelo si può essere indotti a pensare che la voglia di potere sia sempre cattiva. E oggi constato che molti uomini e donne, anche credenti, scelgono di non entrare nell’agone politico perché dicono che la politica è sporca, o perché sembra loro che la vita cristiana debba essere caratterizzata più dal cercare posti e ruoli umili e vivere una vita mortificata senza la ricerca del prestigio.
Comprendo che il problema esiste, ma vorrei sottolineare, anzi marcare che ritirarsi dalla vita politica e sociale porta alla fuga dalle responsabilità. Il desiderio di staccarsi dal mondo e dall’impegno sociale e politico è in sintonia con il Vangelo? Gesù non è venuto per cambiare il mondo perché esso sia di tutti e sia lo spazio di libertà per i poveri, gli ultimi, gli oppressi? Il modo più normale per cambiare il mondo è l’impegno politico. Qui si fanno scelte per l’uomo o contro l’uomo!
Ricordo una grande affermazione del filosofo Adorno che non si dichiara credente: “La politica è il luogo della redenzione del mondo”. Essa è il luogo della liberazione dall’ingiustizia, dall’emarginazione, dalla povertà. Certamente il volontariato assistenziale è benefico e benemerito, e va incoraggiato, ma non toglie le cause della povertà e dell’esclusione degli emarginati.
Il cambiamento, la liberazione avviene soprattutto con scelte politiche e non solo nazionali, ma anche internazionali.
È evidente, che si può entrare in politica con due motivi o due obiettivi: quello di fare i propri interessi o, come credenti, per difendere gli interessi della fede e della Chiesa, oppure per cercare e curare gli interessi dell’uomo in quanto uomo, cioè per inseguire la giustizia. Il fine dell’impegno politico non è inseguire il prestigio personale e neppure quello di difendere la religione o la Chiesa, ma quello di difendere e di promuovere l’uomo aldilà della religione, della razza, della cultura, anzi difendere, e soprattutto promuovere quelli che stanno in basso, che non hanno voce, gli esclusi.
Allora cercare il potere con questa seconda finalità non soltanto è auspicabile, ma è un dovere che nasce dal Vangelo, dove si dice che Gesù di fronte alla fame della gente ordina: “Date voi stessi da mangiare”. Combattere le cause della povertà è obbedire al Vangelo, è tradurlo nella vita.
Per scegliere di mettersi in politica non basta, però aver fede, questa dovrebbe offrire l’ispirazione e il coraggio, occorrono due indispensabili atteggiamenti: la competenza e la gratuità. La competenza: conoscere, studiare le leggi dell’economia e cercare con intelligenza e tenacia la soluzione dei problemi nel confronto con tutti. Gratuità significa vivere la politica come si diceva non per sentirsi realizzati o avere riconoscimenti o compensi, bensì per servire il bene comune.
- “Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo”. Dio non è padrone, è servo. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo è colui che ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Penso che la grande svolta sia il passaggio dalla religione alla fede. La religione nasce dalla paura, la fede sorge dalla scoperta che Dio ci ama, che siamo amati da Dio. Con Lui c’è un rapporto amoroso che ci fa crescere.
Nel catechismo di S. Pio X, che è resistito fino al Concilio Vat. II, c’era la domanda: “Perché Dio ci ha creati?”. La risposta era: “Per conoscerlo, amarlo, servirlo in questa vita e poi goderlo per sempre in Paradiso”. Gesù capovolge questa prospettiva, le dà una bellezza che stordisce: siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio, qui e sempre. Non sei tu che esisti per Dio, ma è Dio che esiste per te, per amarti, servirti, a servizio della tua felicità.
Due impegni concreti:
- Vivere la fede e la vita per servire gli altri e la giustizia.
- Riscoprire la gioia di essere amati e serviti da Dio.