II domenica del T.O.
Quando si è “battezzati”?
Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”. Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.
(Gv 1, 29-34)
Questa è la seconda domenica di tempo ordinario, così chiamato perché si distingue dai tempi forti come l’Avvento, la Quaresima, la Pasqua. È un tempo che ci accompagnerà fino alla prossima Quaresima. Non è un tempo meno importante, è un tempo diverso: non celebrerà eventi solenni, ma ci inviterà a ritrovare noi stessi, per vivere una fede feriale, che scalfisca la nostra vita. Più che puntare sullo straordinario è un richiamo, alla fede ordinaria o meglio quotidiana. In questa domenica si ripresenta la persona di Giovanni Battista che ci indirizza a capire chi è il messia e, soprattutto, a come vivere il nostro battesimo.
Lasciamoci stimolare da alcune espressioni del Vangelo.
- “Ecco l’agnello di Dio colui che toglie il peccato del mondo”. L’”agnello” è un’immagine biblica dai molti significati. Ne sottolineo due. Il primo è l’evocazione degli “agnelli sgozzati” dal popolo ebraico prima di uscire dall’Egitto, il cui sangue spruzzato sugli stipiti delle porte, salvava dalla morte i primogeniti ebrei, e le cui carni nutrivano il popolo nel viaggio di liberazione. L’agnello, quindi, è simbolo di liberazione: Dio che libera il popolo dalla schiavitù e lo accompagna nel deserto verso la terra promessa.
In Gesù si compirà questa liberazione.
Il secondo è l’immagine usata dai profeti per indicare il “servo di Dio”, come agnello condotto al macello. L’agnello non ha nessuna difesa, né corna, né unghie, né zanne, né capacità di fuggire: è il simbolo dell’uomo mite che non accusa, né si lamenta, né si oppone al malvagio. Pure Gesù sarà “mite e umile”. L’agnello indica lo stile di Gesù che vuole cambiare il mondo non attraverso la violenza, ma con l’amore, la mitezza. Il suo progetto è sì di voler modificare le regole del gioco della vita in modo che “gli ultimi diventino i primi”, ma questo rovesciamento avverrà attraverso l’amore e non con l’odio, attraverso la mitezza e non con la violenza.
- “Toglie il peccato del mondo”. Nell’interpretare il senso di questa espressione vorrei anzitutto precisare che non dice: “i peccati del mondo”, ma il “peccato del mondo”. Ancora oggi nella liturgia si parla di “peccati del mondo”, al plurale.
Il Vangelo, invece, parla del peccato al singolare. Quale sarebbe la formula più giusta? Sicuramente quella al singolare: “il peccato”.
Dentro l’uomo esiste una tenace spinta a voler mettersi sopra gli altri: è la spinta a voler dominare. Il “famoso” peccato originale non va più inteso come la vecchia teologia l’ha fatto intendere. Esso non è il peccato di Adamo ed Eva che verrebbe a rifluire su di noi attraverso la generazione biologica. La Bibbia non intende dire questo. Nessuno può essere condannato per il peccato di un altro. Essa voleva annunciare che ciascun uomo, fin dalla nascita possiede una tendenza che lo porta a voler dominare l’altro, a primeggiare, a imporsi. Dentro di lui c’è una voce che lo incalza a padroneggiare. È una inclinazione che esiste da sempre dentro l’uomo fin dalla sua nascita. Questo è, pure, il segno della libertà dell’uomo. L’uomo non nasce compiuto, deve compiersi e si compie affrontando questa inclinazione a voler emergere, che porta alle rotture e ai conflitti familiari e sociali. La libertà può essere vissuta come ricerca del proprio io, della propria affermazione o come ricerca di far crescere l’altro, perché è l’altro che ti libera e ti costruisce. La vera schiavitù è quella di essere asserragliati dentro il proprio io, la libertà, invece, cresce quando ci si lascia stimolare, allargare, definire attraverso gli altri. Sono gli altri che ti chiamano, ti risvegliano, accendono la tua identità. Il battesimo è il momento in cui una persona decide di liberarsi dall’io e di vivere non per se stessa e con se stessa, ma con gli altri, per gli altri, dagli altri. È un cammino di liberazione dalla tirannia dell’io, per vivere l’esaltante e umanizzante comunione di fraternità e di amore. I vari peccati sono la diramazione di questo centrale e profondo peccato: il voler dominare.
- “Egli battezza in Spirito Santo”. Tutti noi, o quasi, siamo stati educati a pensare alla nostra ”anima”, alla sua incessante rifinitura. Questo lavorio e purezza individuale venivano portati in primo piano, al di sopra di ogni altro interesse. Io ricordo, negli anni ’60 prima del Concilio Vaticano II, una affermazione scultorea di un importante monsignore: “La caratteristica del cristianesimo non è l’amore, ma il pensare a salvarsi l’anima”. Apparentemente abbiamo in questa espressione la massima tensione verso il cielo, ma in realtà non si tratta nient’altro che di sommo egoismo, ammantato di spiritualità. E proprio per questo è tanto più pericoloso. Nel Vangelo di Luca leggiamo: “Chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,24). Ecco il radicale capovolgimento di ogni logica umana: non pensare di coltivare la propria vita, nessuna vanagloria etica, ma consegnare la propria vita all’Altro, a Dio, che è presente e si manifesta negli altri.
Bonhoeffer esprime il significato di vita con il termine anima. E si domanda che ne sarà della sua anima, se si consegna totalmente all’altro, agli altri. Rimarrà grezza, incolta, rozza? Ebbene, dice ancora Bonhoeffer: “Lascia la tua anima grezza, ruvida, non è importante com’è la tua anima, è importante che tu compia la volontà di Dio, che tu ti metta in cammino di crescita che Dio ti propone. Non fissarti dunque, con tanta angoscia sulla purezza della tua anima. Fissa invece lo sguardo solo su ciò che Dio ti assegna da fare e consegna con fiducia a Lui la tua anima. Egli saprà prendersene cura sicuramente più di te”.
- “Recuperare l’eros nel cristianesimo”. Mi ha molto interrogato un lungo articolo del teologo ortodosso Jannaras nel quale egli sosteneva che oggi viviamo un cristianesimo senza eros e che monaci, preti, cristiani dovrebbero essere persone erotiche, cioè possedute dalla passione. Non dovrebbero vivere rapporti pastorali funzionali, ma carichi di ardore e di affettuosità. Le relazioni nella vita della Chiesa sono spesso funzionali a rincorrere obiettivi pur validi, ma spesso privi di comunione, di complicità affettiva, di sentimento.
E la “passione”, così io penso, dovrebbe scaturire dal battesimo, che l’evangelista Matteo chiama “di fuoco”: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11). L’essere battezzati, il farsi battezzare (quando verrà celebrato da adulti) dovrebbe esprimere una vera passione, anzi essere provocato dalla passione. È la passione che spinge l’io ad uscire e a prendersi cura dell’altro. Chi ha esperimentato la passione affettiva, oppure la passione professionale, si sente inevitabilmente portato allo spossessamento del sé per abbracciare l’altro o un progetto. La persona viene come ricreata quando è immersa nell’anima stessa della persona amata o quando vive la professione con passione.
Ciò avviene soprattutto nell’amore dell’uomo e della donna, ma può avvenire pure nell’inseguire un progetto di vita come dovrebbe accadere nel battesimo.
Due piccoli impegni:
– Non voler dominare.
– Non pensare alla propria anima, ma a rispondere agli appelli di Dio!