IV° DOMENICA di AVVENTO
L’abbraccio di due madri
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
(Lc 1,39-45)
La pagina del Vangelo riporta l’incontro o meglio l’abbraccio di due madri: la prima è Elisabetta che era sterile, ma che Dio rese feconda liberandola dall’umiliazione (il non avere figli era a quel tempo segno della non benedizione di Dio), e Maria il cui grembo è stato riempito di cielo dallo Spirito Santo! È un incontro di lode e di benedizione l’una con l’altra, ma più che benedirsi, benedicono e magnificano Dio che fa cose grandi e stupende.
Io vorrei leggere in questo brano del Vangelo tre atteggiamenti da riscoprire per vivere bene il Natale.
- Credere nell’impossibile. Nella cultura di San Salvador (America latina) c’è l’interpellante espressione: “Nell’impossibile la speranza”. Con queste parole si vuole indicare che la speranza c’è, vive quando si crede nell’impossibile.
E in questo brano del Vangelo è proprio l’impossibile che si rende presente.
Elisabetta era moglie di Zaccaria, sacerdote. Erano una coppia molto religiosa, ma senza figli. Elisabetta era sterile, e ormai ambedue erano in età avanzata dove non poteva più esserci la fecondità. Nonostante la sterilità e la vecchiaia, esplode la vita nel grembo di Elisabetta. Sembrava definitivamente sterile, ma niente è impossibile a Dio.
Maria, avrà avuto 15 anni quando si è sposata con Giuseppe, ma non conviveva con lui. Il matrimonio non era completo. Era ancora vergine e anche il suo grembo si riempie di cielo per opera dello Spirito Santo. Qui il prodigio è ancora più grande: Maria ha un figlio, rimanendo vergine, come appare dai Vangeli e come la chiesa da sempre ha dichiarato. L’angelo dice a Maria, per rassicurarla: “Niente è impossibile a Dio”.
Tutti avvertiamo che oggi c’è bisogno di speranza. Papa Francesco più volte ripete: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Perché sperare? Sperare perché l’uomo, l’umanità, possiede delle portentose capacità che possono trasformare il mondo: l’uomo è una potenzialità creativa inesausta e inesauribile. Sperare perché, nonostante tanto pessimismo, l’uomo è più bontà che cattiveria. I sentimenti di bontà, di ottimismo, di generosità, sono più forti e più grandi della cattiveria e dell’egoismo. Sì, l’uomo possiede dell’egoismo, ma la profondità del suo essere è pervasa dall’amore. È più amore che egoismo. E prima o poi questo amore germoglierà e creerà un mondo nuovo e fraterno.
Perché sperare? Soprattutto perché Dio cammina con noi. Dio che ha riempito sorprendentemente il grembo di Elisabetta e di Maria di nuove aurore, riempirà di cose nuove e imprevedibili il nostro vivere e il nostro futuro.
- Saper gioire. Per due volte Luca dice che il bambino “salta” di gioia nel grembo. Dio è gioia, la terra intera freme di gioia per le energie di vita che in essa sono deposte.
La gioia sarà il sentimento a cui ci inviano i grandi eventi del Natale. L’ angelo dirà ai pastori: “Vi annuncio una grande gioia, è nato per voi il Salvatore (Lc 2,10); “I pastori dopo aver visto il bambino tornarono pieni di gioia lodando Dio” (Lc 2,20); “I magi provarono una grandissima gioia al vedere la stella” (Mt. 2,10).
Bisogna che superiamo la visione dolorante della fede. Per secoli ci è stata predicata, insegnata la fede come mortificazione, rinuncia, sacrificio. Gesù non è venuto per mortificare, ma per liberare, non per far soffrire, ma per far gioire. Se oggi vi sono molti che non credono o si sono allontanati dalla Chiesa è anche perché hanno pensato, o pensano, a un Dio nemico della gioia e della libertà dell’uomo. E questo atteggiamento di ostilità nei riguardi di Dio è perché noi, come chiesa, abbiamo falsato il Vangelo. Dio è venuto perché l’uomo abbia la gioia: “Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). Gesù è venuto, dobbiamo continuamente rimarcarlo, perché l’uomo sia pieno, regale, felice. La proposta di Gesù non è per la sofferenza, ma per la vita, l’ebbrezza. I miracoli di Gesù sono finalizzati a far vivere con gioia, liberati da malattie e da ingiustizie. Il fatto che Gesù abbia cambiato l’acqua in vino è un affascinate simbolo: il vino è il segno della festa, del calore umano, dell’ebbrezza, della gioia di vivere.
- Saper abbracciare. Il Vangelo riporta l’abbraccio di due madri. Molti pittori hanno descritto questo incontro con l’abbraccio l’una con l’altra. L’abbraccio è il segno dell’affetto. Dio viene nelle relazioni, negli incontri, nei dialoghi, negli abbracci. Dio è amore ed è presente e si svela dove c’è l’amore. Mi piace riportare alcune espressioni sempre calzanti di Papa Francesco: “Non abbiate paura della tenerezza. Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una chiesa fredda. Ho paura dei cristiani che non sanno abbracciare e accarezzare”. Tra sposi, ma anche tra amici, occorre riscoprire il valore dell’abbraccio: è segno di complicità affettiva, segno del sostenersi e dell’incoraggiarsi l’uno con l’altro. L’abbraccio esprime una forte carica di calore umano e di speranza.
Due piccoli impegni:
– Credere nell’impossibile.
– Imparare ad abbracciare e accarezzare.