XXIII Domenica del T.O.
Rendere maggiorenni i credenti
In quel tempo Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
(Mc. 7, 31-37)
Vorrei mettere al centro l’icona del sordomuto per cogliere il sentire di Gesù e il come essere credenti.
- “Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”.
Anzitutto Gesù “guarisce”. Gesù non accetta una persona malata o sofferente perché essa non può esprimersi come sarebbe giusto. Si sente schiacciata da impedimenti che la bloccano e la condizionano pesantemente nelle relazioni umane e sociali. Si trova emarginata. Gesù guarisce perché non ama la sofferenza, il dolore, la croce. La cultura cristiana (non solo cattolica), invece, ha avuto sempre il sospetto sulla felicità e sulla gioia e ha presentato la fede come rinuncia, sofferenza, mortificazione, non valutando che Gesù è venuto a portare la gioia: “Vi dico queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv. 16,3). I miracoli di Gesù, comunque vengano interpretati, esprimono il sogno di Gesù di umanità senza dolore, malattie, emarginazioni. E il credente è chiamato a lottare contro la sofferenza. Scrive il gesuita filosofo e paleontologo Theillard de Chardin: “Una falsa interpretazione della rassegnazione cristiana è la principale fonte delle antipatie che fanno realmente odiare il Vangelo da parte di un gran numero di persone. Più respingiamo la sofferenza con tutto il nostro cuore più aderiamo a Dio”.
- “Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua”.
Gesù prima di guarirlo avvolge il sordomuto del suo affetto. Prima lo ama e poi lo guarisce, anzi è l’amore che lo risana. E il toccarlo con le sue dita e con la saliva esprime un gesto affettuoso. E questa affettuosità non è solo detta, ma manifestata fisicamente. È importante il corpo per comunicare l’amore. C’è bisogno di recuperare il valore dell’affettività fisica. Il corpo è lo strumento più importante per esprimere e far crescere l’amore. Il sapersi abbracciare non solo tra sposi o tra padre e madre con i figli, ma pure tra amici genera un calore e una circolarità di affetto che infonde amore e coraggio. Ci sono studi interessanti sul valore terapeutico dell’abbraccio, ma pure di tutta la gestualità affettiva.
Noi “latini” siamo stati educati alla razionalità e meno all’affettività. E avendo perso la dimensione affettiva della vita siamo diventati meno umani costruendo così una chiesa fredda e un mondo arido, dove il valore è ciò che si fa e non ciò che si è: un mondo estraneo ai valori affettivi. È carente se non assente anche oggi una vera e propria educazione sentimentale che consenta una più profonda relazione con se stessi e con l’altro.
Umberto Galimberti filosofo e psicanalista, commentando gli sconvolgenti episodi di violenza da parte dei giovani, sostiene che ancor oggi la scuola educa all’intelligenza e a raggiungere una cultura professionale, ma non ai sentimenti. Così scrive: “La malattia di molti giovani è la mancanza del desiderio, del desiderare la vita. Il deserto affettivo sembra sia diventato il paesaggio abituale di molti dei nostri figli. La via d’uscita è educarli ai sentimenti”.
Pure il teologo ortodosso Jannaras denuncia che oggi viviamo un cristianesimo senza eros, senza passione, senza cuore e sentimenti.
- “Emise un soffio e gli disse: “Effatà” cioè “Apriti”.
Il miracolo, come tutti i miracoli vanno letti principalmente in chiave simbolica! Gesù schiude gli occhi e scioglie la lingua, cioè dà la parola alle persone. Qui c’è senz’altro un contrasto evidente con scribi e farisei, i quali non consentivano al popolo di parlare perché lo consideravano incapace, sprovvisto degli strumenti necessari a comunicare e giudicare. Essi volevano un popolo passivo, semplice esecutore: ecco perché la gente era sorda, non allenata, disabituata ad ascoltare le voci nuove che emergevano dalla storia. E quando non si è pronti a udire, non si riesce neppure a dire, a parlare. Gesù schiude gli orecchi delle persone perché esse si aprano a recepire problemi, istanze, speranze.
L’educazione religiosa che noi stessi abbiamo ricevuto tendeva purtroppo, a renderci sordi alle novità della storia, perché sembravano disorientare la fede e scompaginare la Chiesa. Quanti divieti! Non leggere certi libri, non partecipare a certi spettacoli, non seguire certi programmi culturali. Vigeva perfino la proibizione di leggere la versione integrale della Bibbia. Era un’educazione alla minorità spirituale e psicologica delle persone. Il progetto educativo della Chiesa è stato, per lungo tempo, finalizzato non a creare coscienze mature, ma coscienze obbedienti.
Il Concilio Vaticano II ha posto l’accento sul “sensus fidelium”, cioè sul fatto che il popolo non è oggetto sordo e muto, ma soggetto vivo chiamato a udire le voci nuove e a parlare.
Perché ritenere ancora minorenni dei laici che, nel nostro tempo, attraverso la preghiera e lo studio, hanno conseguito una insospettata maturità?
Forse anche per Gesù è stato più facile aprire occhi e orecchie a persone lontane dalla religione, addirittura pagane, che a quelle più vicine, come gli scribi e i farisei: questo deve far riflettere tutti. La vera fede cristiana non dovrebbe educare alla fissità delle idee, ma a capire che la verità è nomade e che ogni pensiero è sempre incompleto. Educare al pensiero aperto, perché Dio è imprevedibile. Egli è sempre oltre!
Due piccoli impegni
- Gesù non ama il dolore e la sofferenza.
- Riscoprire l’educazione ai sentimenti.