XXI Domenica del T.O.
Vivere in minoranza!
In quel tempo molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono”. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre”.
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio.
(Gv. 6, 60-69)
Anche in questa domenica echeggia il tema del pane. Gesù si è definito il “pane vivo disceso dal cielo” e “il pane per la vita del mondo”. E per vita non intendeva quella dell’aldilà, ma quella dell’aldiquà. Certo non nega l’aldilà, ma egli è venuto principalmente perché l’uomo viva bene e sia felice nell’aldiquà.
Questo discorso sul “pane” Gesù lo tiene principalmente nella sinagoga di Cafarnao dove la presenza è composta da ebrei. Che cosa intendeva dire Gesù disegnandosi come “pane”?
- “Io sono il pane per la vita del mondo”.
Che cosa può indicare il pane? Il pane è il simbolo del progetto di Gesù: egli ha un progetto o, meglio, egli “è” il progetto che diventa vita del mondo. In questa ottica, mangiare il suo pane equivale a decidere di abbracciare il suo progetto e di renderlo presente nella storia.
Il pane è simbolo anche della debolezza. Il pane è fatto per essere mangiato: è segno d’impotenza, perché è in mano all’uomo, e solo quando è mangiato nutre e sviluppa prodigiose energie di vita.
Gesù, quindi, definendosi pane del mondo, propone un messianismo non trionfalistico, giusto il contrario di quanto attendevano i suoi contemporanei. Egli si dichiara inoltre pane non solo per i Giudei, ma per tutti, per il mondo: il Messia non sarà quindi un dominatore, né limiterà il suo orizzonte ad Israele. Neppure i discepoli, purtroppo, accettano questa visione, e perciò dicono: “Il linguaggio è duro”. Seguire Gesù significa rinunciare a ogni ambizione, per scegliere piuttosto una vita di donazione e di disponibilità senza riserve, della quale il pane è simbolo.
Allora celebrare l’Eucarestia significa sì mangiare il pane, ma nutrirsi di quel pane non può ridursi a un atto religioso. Questo mangiare dovrebbe spingere ad assumere un progetto di vita che coincida con quello di Gesù, che non sia rivolto alla propria affermazione o alla propria tranquillità, ma piuttosto a mettersi a disposizione del Regno di Dio. Il “Fate questo in memoria di me” può essere tradotto così: “La mia memoria vi spinga a continuare il progetto che io ho iniziato”, e che si caratterizza nel mettere al centro l’altro con le sue attese, bisogni e problemi.
- “Disse Gesù ai dodici: “Volete andarvene anche voi?”.
Gesù è disposto a rimanere solo pur di non demordere dal proprio progetto: prima il progetto e poi l’adesione e i numeri. Anzi stando ai Vangeli Gesù quasi scoraggia chi vuol diventare suo discepolo. Ad uno che gli domanda di seguirlo avverte: “Le volpi hanno una tana, gli uccelli hanno un nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,45). Gesù non si riferisce tanto alla sua povertà, ma alla sua vita rischiosa perché, essendo un ricercato per le sue idee, deve continuamente nascondersi e cambiare luogo. Gesù certamente accetta, anzi gode di essere seguito, ma l’importante è che uno ci pensi prima di decidersi, perché vivere il suo progetto è compromettente. Essere cristiani dovrebbe essere una scelta pericolosa perché si tratta di lavorare e di impegnarsi per la giustizia. Per questo i cristiani saranno chiamati a vivere in minoranza, ad essere lievito e non massa.
La Chiesa non dovrebbe guardare i numeri, ma esaminare la qualità dell’impegno. Cioè essa dovrebbe superare la mentalità proselitistica come sostiene Papa Francesco nella Evangelii Gaudium. Il proselitismo è la tensione o meglio l’attività per far crescere un gruppo o una comunità religiosa attraverso l’adesione di nuove persone. Il proselitismo tende in tutti i modi a “conquistare aderenti” per crescere di numero, quasi che il numero sia garanzia di verità. Anche in campo politico i partiti tendono a fare proseliti senza scrutare la qualità delle competenze e convinzioni delle persone. La tentazione del numero serpeggia dovunque. I partiti nel fare le scelte fanno i sondaggi per aumentare il consenso della gente, ma non mirano a ciò che è bene e a ciò che è giusto. È rimasta famosa la illuminante espressione di De Gasperi: “Il politico guarda le prossime elezioni, lo statista le prossime generazioni”.
Non si tratta di svalutare l’impegno di far conoscere il pensiero di Gesù. Esso è un dono da esportare perché diventi un fermento di umanità nelle religioni e nelle culture, ma un conto è esportarlo con tutti i mezzi e modi e un conto che esso rispetti la libertà e il crescere proprio di ogni persona.
Scrive don Mazzolari: “Come se il problema della vita religiosa fosse di affollare le chiese. Siamo ancora ammalati di clientelismo: la prima prova della fede è il coraggio della verità e della giustizia”.
Comunque il centro dell’azione pastorale non può essere il numero, ma la qualità di fede delle persone, che non consiste nella ricerca della propria tranquillità interiore o della propria salvezza, ma nel mandato di insegnare agli uomini a vivere la giustizia e perseguirla con coraggio.
Nella Chiesa dovrebbe nascere uno spazio libero dove sia consentito di scegliere autonomamente di essere cristiani. Questo non sembra esistere, o è molto annebbiato, perché i sacramenti che dovrebbero esprimere delle personali scelte di vita, di fatto vengono celebrati o quando non c’è la coscienza o quando questa è ancora fortemente condizionata dalla famiglia o dall’ambiente. I sacramenti, come nei primi secoli della Chiesa, dovrebbero essere celebrati in età adulta dopo un serio e accompagnato cammino. Allora potrebbero esprimere una decisione personale e pensata. Ci sarebbero meno aderenti, ma più cristiani convinti.
- “Questa parola è dura! Chi potrà ascoltarla?”.
La proposta di Gesù è dura perché rovescia il modo di pensare e di vivere delle persone, ma è una parola vitale.
La proposta di Gesù si fonda su tre punti principali. Primo: “Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri” (Mt. 19,21). Questo significa che il denaro, i beni materiali, non sono tuoi, sono di tutti e vanno condivisi. Il secondo: “Beati voi poveri, vostro è il Regno” (Lc. 6,20). Essi non sono beati perché poveri, ma perché è arrivato uno (Gesù) che li difende e li vuole liberare. Così dovrebbero fare i cristiani. Il terzo: “Amate i vostri nemici e fate del bene” (Lc. 6,27). Amare i nemici vuol dire, soprattutto oggi, amare i diversi, gli stranieri, gli emigranti in cerca di pane, di libertà. Questa proposta di Gesù è apparentemente dura, perché rovescia la nostra mentalità, ma è la strada della fraternità, della condivisione e dell’accoglienza. Su questa strada nascono relazioni fraterne e solidali che portano l’uomo a ritrovare se stesso e la felicità.
Due piccoli impegni
- Mangiare il pane eucaristico non può ridursi ad un atto religioso.
- Non importa il numero di cristiani, ma la qualità della loro fede.