Commento al Vangelo di don Battista Borsato

XIX  Domenica  del  T.O.

Gesù è il pane dell’uomo!

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo?”.

Gesù rispose loro: “Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.

(Gv. 6, 41-51)

Il tema centrale di questa domenica o meglio del Vangelo di questa domenica è il pane e Gesù dice: “Io sono il pane della vita”. Io sono il pane che fa vivere e fa fiorire. Vorrei soffermarmi con voi oggi, su queste due espressioni: Gesù è il pane che fa vivere, che fa vivere l’uomo, che gli dà un’esistenza libera, piena, umana. E la seconda espressione è: questo pane non solo dà l’esistenza, la riempie, ma anche la rende felice.

  • “Gesù è il pane per l’uomo”.

Cosa vuol significare questa espressione? Vuol significare che Gesù dà un pane, offre una strada perché l’uomo diventi uomo, diventi se stesso, sviluppi la sua identità. Io mi chiedo, soprattutto, quando mi rivolgo ai giovani fidanzati, dove stia la causa dell’abbandono della fede o della disaffezione a credere. I fidanzati vengono di solito nei percorsi prematrimoniali dopo anni di assenza dalla vita liturgica ed ecclesiale, eccetto alcune sorprendenti e positive eccezioni. E parlando con loro sulle cause di questo distacco dalla fede o dalla Chiesa, mi accorgo che questo non è dovuto tanto al benessere economico che in questi anni sta soffocando le tensioni spirituali e spinge l’uomo a dare peso al potere economico o materiale, ma il motivo vero e profondo è il modo di intendere Dio. Si è vero che il benessere ci ha ubriacati e perdiamo di vista la profondità del nostro essere, l’uomo si riduce solo a lavoro, guadagno, carriera, prestigio, mentre il mondo interiore, quello dei sentimenti, della passione per la verità viene terribilmente eliminato. E quando questa dimensione viene rimossa l’uomo non si ritrova. È spaesato. La depressione e l’infelicità che stanno disseminandosi sono il segno di questo inquietante impoverimento interiore.

Allora si scopre che la causa dominante di questa apatia religiosa non è tanto il benessere, si anche, ma è soprattutto il fatto che i giovani pensano a Dio come il limite dell’uomo, come colui che dà leggi, divieti che comprimono la sua libertà e felicità. Sembra che il credente sia destinato a vivere nell’obbedienza, nel sacrificio di sé, nella rinuncia. È famosa l’espressione di Nietzsche: “L’uomo con Dio non può vivere la sua ebbrezza di vita”.  Secondo questo filosofo, ma anche secondo i retropensieri di molti giovani, Dio, come è stato presentato o viene presentato, non sarebbe a favore della libertà, della dignità e della felicità dell’uomo. La fede non è intesa come una proposta, come un pane per diventare uomini. Invece Dio ha creato l’uomo perché diventi se stesso, sviluppi i suoi doni con libertà e con responsabilità. Un’altra ariosa espressione del filosofo e teologo ebreo Martin Buber suona così: “Ogni uomo nasce non per fare il già fatto, bensì quello da fare. Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai esistito, qualcosa di unico e di primo”.

E Dio vuole che ciascun uomo sviluppi il suo essere, diventi se stesso libero e creativo. E Gesù è il pane o, se vogliamo, la strada che alimenta questa libertà e creatività.

  • “Il pane non solo fa vivere, ma fa gioire”.

Mangiare il pane dà gioia, dà felicità. Solo chi ha sperimentato la fame può gustare la felicità di avere del pane. La felicità sembra essere l’obiettivo dell’uomo. L’uomo tende ad essere felice. E oggi varie discipline come la filosofia, la psicologia e perfino la politica hanno l’intento di rendere l’uomo felice. Anche i teologi rileggendo la Bibbia scoprono che Dio desidera un uomo felice. Egli ha creato i beni materiali per la felicità dell’uomo. Se leggiamo la storia dei Patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe avevano terreni, greggi, numerose vigne abbondanti d’uva. È come se Dio vedesse nella felicità dell’uomo qualcosa di inebriante e di fondamentale. Il desiderio di felicità che è nell’uomo, può e deve essere colmato anche in terra.

Forse la predicazione del passato relegava o confinava la felicità nell’altro mondo. Sembrava che l’uomo dovesse sottostare ai comandamenti come un peso da sopportare per conquistare la felicità dell’aldilà: “Soffri di qua, ma avrai l’aldilà” sembrava essere il ritornello della vecchia catechesi. I comandamenti erano visti come peso e giogo e non come strade per essere persone libere e felici. Nel libro del Qoelet, un libro della Bibbia non molto conosciuto si legge: “Va’, mangia contento il tuo pane e bevi con cuore contento il tuo vino, perché quello che fai è voluto da Dio, bianca sia la tua veste in ogni tempo e non manchi mai di ungerti la tua testa” (9, 7-9).

Anche Gesù non solo non disprezza il pane (anzi lo moltiplica), non solo non rifiuta il vino (anzi cambia l’acqua in vino), tanto da essere indicato dagli avversari come “un mangione e un beone”.

Il benessere che viviamo non va visto come un male, ma come un dono. Indubbiamente anche un dono può trasformarsi in pericolo, ma questo avviene non a causa del dono, ma del modo di viverlo.

Il benessere non deve essere ripudiato, perché è l’opportunità che consente di avere tempo e disponibilità per vivere con serenità e profondità le relazioni tra sposi e con i figli, dà la possibilità di leggere, riflettere, di cercare la verità e di poter sprigionare le nostre capacità inventive. Il problema è che tutti gli uomini e le donne dovrebbero avere la possibilità di vivere nel benessere. Per questo noi, del mondo occidentale, non dovremmo chiuderci, ma aprirci, sia per condividere ciò che abbiamo con i popoli privi del pane, sia per lottare anche politicamente per una giusta distribuzione delle risorse economiche. Allora Gesù può diventare il pane di gioia per tutte le persone e per tutti i popoli.

Due piccoli impegni

  • Gesù è il pane che alimenta la libertà e la creatività dell’uomo.
  • Gesù è il pane che rende l’uomo felice.