Commento al Vangelo di don Battista Borsato VII  Domenica di Pasqua

Commento al Vangelo di don Battista Borsato VII Domenica di Pasqua

 Ascensione del Signore

Il cristiano è un amante della terra!

Disse Gesù ai discepoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

(Mc. 16, 15-20)

Innanzitutto è da riscoprire il significato simbolico dell’Ascensione di Gesù che sale al cielo. Il cielo è il luogo dove si pensava abitasse Dio e quindi per descrivere e dire che Gesù è Dio e che si incontra col Padre, l’evangelista Marco parla di Gesù che sale. Lo stesso Papa Ratzinger riconosce che: “Ascensione non è un percorso cosmico-geografico è la migrazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo”. Quando una persona esce dal suo io per abbracciare le persone e il mondo compie la vera ascensione.

E per capirne più in profondità il senso mi soffermo su due espressioni: la prima la prendo dagli Atti degli Apostoli (1, 9-11) e la seconda dal Vangelo.

  • “Uomini di Galilea perché ve ne state a guardare il cielo?”

Questa ingiunzione, o invito, viene rivolta da due uomini in vesti bianche, cioè da due angeli, e gli angeli sono i messaggeri di Dio, anzi esprimono il pensiero di Dio stesso. Quasi si può dire che a Dio interessa la terra, il mondo, non il cielo.

Quasi sempre l’Ascensione è stata interpretata come sollecitazione a staccarsi dal presente, dalla terra, per elevarsi al cielo: e la fede, come pure la preghiera, per gran tempo, sono state concepite come elevazione dell’anima a Dio. L’elevarsi di Gesù era il simbolo pregnante e più significativo di questa visione religiosa. E sappiamo che, storicamente, tale concezione della fede trova riscontro in molte religioni del passato, e soprattutto da una discutibile interpretazione della filosofia greca, che sembrava ostile alla materia e alla corporeità viste come negatività da fuggire.

C’è stata un’educazione a pensare più a Dio e meno all’uomo, a guardare più o solo il cielo e meno, e tanto meno, alla terra. Anche il fatto che la scelta della verginità fosse molto più apprezzata della scelta del matrimonio rientra in questa concezione di deprezzamento se non di disprezzo delle realtà terrene. Invece, la terra va amata, vissuta, trasformata, perché risponda alle intenzioni di Dio. Scrive al riguardo il filosofo Garaudy: “Credere è essere consapevoli che la creazione non è terminata e che noi ne siamo responsabili”. Questo invito a interessarsi delle cose di quaggiù è chiaramente espresso anche dal passo del Vangelo di questa domenica come vedremo in seguito.

Comunque, se vediamo la terra come la casa degli uomini e donne di oggi e di quelli del futuro, occorrerà rispettarla come ci invita Papa Francesco nella enciclica Laudato si’ . La fede dovrà recuperare la sua valenza terrena e non essere più vissuta come evasione dagli impegni sociali e politici, con i quali questa azione di salvaguardia e di promozione può essere esercitata.

È urgente riacquistare il gusto di fare politica. Oggi c’è molta disaffezione se non rifiuto verso la politica perché la si vede, purtroppo, attraversata da favoritismi e da interessi. Però essa rimane lo strumento di liberazione del mondo dai suoi mali. Non c’è un altro modo per liberare il mondo e l’uomo dalle ingiustizie, dalle oppressioni. L’impegno per la giustizia, di cui la politica dovrebbe essere il veicolo, appartiene all’essenza della fede evangelica.

  • “Nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, imporranno le mani sui malati ed essi guariranno, e se berranno qualche veleno non recherà loro danno”.

Gesù, prima di lasciare gli Apostoli e ascendere al cielo, dà loro cinque impegni, cinque mandati: scacciare i demòni, parlare lingue nuove, prendere in mano i serpenti, non aver paura del veleno, imporre le mani ai malati per guarirli. Sono azioni prodigiose, che sembrano sconfinare con il miracolismo. Da sempre situiamo gesti di tal fatta sotto il segno appunto del miracolismo. Marco, invece, vuole sottolineare con forza che sono compiti del credente chiamato a trasformare il mondo. Sono cinque mandati finalizzati a rinnovare la realtà e sanare l’umanità.

Il primo mandato è di scacciare i demòni. C’è dentro l’impegno del credente di liberare da ogni tipo di schiavitù o di oppressione che la Bibbia chiama demonio. Tutto ciò che è negativo è un fatto demoniaco.

Il secondo è di parlare lingue nuove. Che cosa può significare parlare lingue nuove? Può voler dire saper trovare nuovi linguaggi per dire la fede e parlare di Dio, vuol dire aiutare gli uomini a trovare nuove forme per capirsi e dialogare e diventare fratelli. Ecco perché la liturgia non si svolge più in lingua latina, ma volgare, cioè nella lingua nazionale.

Il terzo è prendere in mano i serpenti. Questo è un esplicito richiamo al giardino terrestre dove gli animali erano tutti amici fra loro e con l’uomo. E allora questo mandato indica il riconciliare gli uomini con il creato, perché si realizzi la profezia di Isaia che dice: “Il fanciullo si trastullerà con l’aspide” (Is. 11,8).

Il quarto è imporre le mani sui malati per guarirli. Il testo greco dice: “Se tocchi con le mani il malato egli avrà bene”. Se ti avvicini a chi soffre e tocchi la sua solitudine non sempre guarirà, ma avrà bene, sarà bello per lui sentirsi amato. E quando uno si sente amato può anche ricevere energia e speranza per guarire. Oggi anche la medicina sta sottolineando il valore terapeutico dell’amore.

Il quinto: “Se berranno qualche veleno non recherà danno”. È un paradosso. A livello umano e razionale il veleno è mortale, ma Gesù vuol portare il credente ad andare oltre la logica umana e ad approdare a un altro modo di pensare: credere nell’impossibile. L’uomo e il credente non possono fermarsi sull’esperienza vissuta, perché dentro il mondo scorre la potenza di Dio che fa nuove tutte le cose. Occorre credere e dare spazio a questa presenza che abita dentro la storia e che può esplodere in forme sorprendenti e ritenute impossibili.

Occorre avere il coraggio di superare la logica umana alla ricerca di una logica “altra”!

Due piccoli impegni

  • Riscoprire il valore della terra e dell’impegno sociale e politico per rispettarla e farla

            crescere.

  • Pensare che il mondo si trasformerà non per interventi prodigiosi di Dio, ma per quelli

            creativi e responsabili dell’uomo.