Commento al Vangelo di Don Battista Borsato – Giorno di Natale

Commento al Vangelo di Don Battista Borsato – Giorno di Natale

Giorno di Natale – 25 dicembre 2020

1In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era, in principio, presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
6Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
11Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
12A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
16Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosé,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

(Gv 1,1-18)

In questo giorno di Natale, vorrei sostare sul valore del bambino, anzi affermare: il bambino è nostro maestro. So di proporre un tema non facile, ma esso è di grande rilevanza per la Chiesa e per il nostro tempo.

Che cosa significa l’espressione: “il bambino è nostro maestro”?

Il pensiero corre subito a Gesù: a lui conducono le letture del tempo natalizio. “Ci è nato un bambino”, dice il profeta Isaia; e il Vangelo di Luca: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce”. Il segno che Dio dà al mondo è un bambino.

  • “Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”.

Che cosa può dare un bambino? Quale salvezza ci si può aspettare?

Il bambino, invece, è segno di come essere persone e credenti. Dovremmo riscoprire che il bambino è nostro maestro.

Il discorso può suonare un po’ ostico, perché la cultura occidentale ha sempre dato il primato all’adulto, all’uomo razionale, alla persona responsabile, al soggetto che può decidere. Il bambino ha giocato, nella storia, un ruolo insignificante: è stato accarezzato e valorizzato in quanto promessa di futuro, ma non in quanto bambino. Vorrei appunto far capire che il bambino è nostro maestro proprio in quanto bambino.

            Scrive padre Ernesto Balducci, uno dei profeti del nostro tempo: l’uomo è insieme vecchio e       fanciullo, senex et puer.

Il termine “vecchio” non sta per persona anziana, quanto per adulto in genere. Balducci suggerisce dunque che l’uomo ha due anime. Il “vecchio” che è in noi è l’uomo d’ordine, l’uomo della disciplina: ciò che è fuori dagli schemi o incerto lo disturba. È l’uomo che ha ripugnanza per la novità, per l’estro creativo, che ama la conservazione, la ripetizione, la sicurezza; che innalza muri e non apprezza la varietà delle idee e delle culture. Il “bambino” invece è l’altra faccia dell’uomo: nutre entusiasmo per l’impresa, crede che tutto sia possibile, vuol rinnovare, ricominciare, non è mai rassegnato. Ha il gusto del diverso, non è sconcertato da esso, ma stimolato, si apre a tutto e a tutti, quasi ama le contraddizioni, e abbatte i muri, i confini.

La compresenza in noi delle due dimensioni fa sì che ci mostriamo spesso, al contempo, amanti dell’ordine ma anche dell’irregolarità, che proviamo venerazione per il passato ma crediamo anche nel futuro, che mettiamo paletti di confine ma desideriamo anche un’umanità fraterna e riconciliata. Siamo chiamati a contemperare conservazione e novità, ripetizione e creatività, regole fisse e fantasia.

  • “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”.            

Il figlio di Dio è uno che guarda il futuro.A me però sembra che nel nostro mondo occidentale troppo spesso abbia dominato in maniera quasi esclusiva l’uomo “vecchio”, quello della conservazione, dell’ordine, delle sicurezze e dei principi: e sia stato mortificato il “bambino” che è in noi, cioè la nostra parte più vitale e innovativa. Il nostro mondo si è ubriacato di una dimensione calcolatrice ed è diventato violento, interessato, funzionale, cerebrale: si è spenta la gioia, l’amore è svillaneggiato, la fantasia emarginata. Invece il mondo ha bisogno di poeti, di profeti e della fantasia del bambino.

Abbiamo soffocato il bambino che è in noi. In campo educativo, cercato di renderlo simile           agli adulti, di integrarlo alla cultura da essi prodotta, non lasciando che esprima la sua diversità, idee e doni originali. Abbiamo spesso puntato all’omogeneità. Quando si è   affacciato all’orizzonte Francesco d’Assisi, che aveva un animo da fanciullo e restituiva al mondo freschezza, è stato preso per pazzo anche dai parenti; ma egli credeva solo alle parole             di Gesù: “Se non diventerete bambini, non farete parte del mio Regno”. Va da sé che    “diventare bambini” non significa assumere atteggiamenti infantili: Gesù intende che il     “Regno” è proprio di chi crede nel futuro, di chi ha la passione del nuovo e dà spazio       all’estro creativo. Chi si accontenta di ripetere il già sperimentato è lontano da questa     condizione.

            Ogni uomo, forse, dovrebbe sentirsi sempre un po’ “estraneo”, mai pienamente integrato. Si    devono nutrire attenzione e vigilanza necessarie a cogliere l’insolito: Vivere da estranei è    vivere la mobilità, il pensare di avere la verità ci rende quieti, indolenti, superbi. L’uomo è vecchio quando è “integrato” e non cerca prospettive e soluzioni nuove, mentre è fanciullo             quando coltiva la mobilità e cammina sempre alla ricerca di un più, di un oltre.

            A me sembra che la Chiesa abbia sì pensato ai bambini, ma per renderli vecchi e ripetitivi,         che non abbia coltivato la loro anima giovane, facendo prevalere le norme sulla coscienza,           l’istituzione sulla profezia, il passato sul futuro. E fra pochi giorni ascolteremo del re Erode,             che ha fatto uccidere i bambini betlemiti: egli incarna il potere, che tende ad annichilire la   novità e la creatività di cui il bambino è pegno, segno e profezia.

            Così, se vogliamo liberare dalle catene una cultura arida e legata al passato, occorre che il bambino che è in noi diventi nostro maestro. Scrive lo scrittore Mensy: “Nessun uomo è         grande se non ha il cuore di un fanciullo”. “Vecchio” e “fanciullo” non parlano solo di dati             anagrafici: abbiamo giovani di mentalità conformista, e troviamo anziani con lo slancio creativo dei bambini. Papa Giovanni è stato il segno di un uomo anziano di età, ma abitato      dallo spirito del fanciullo, sempre proiettato in un futuro più aperto.

            La Chiesa, e il nostro tempo tutto, hanno bisogno di rafforzare la parte giovanile e creativa    della propria anima.

Due piccoli impegni

Capire che il modo di amare il bambino è di permettergli di esprimere la sua anima di futuro.

Cogliere che oggi il mondo ha bisogno della fantasia dei poeti e dei bambini