I Domenica di Avvento
Guardare a noi stessi
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”.
(Mc 13, 33-37)
Prima di rivolgere a me e a voi alcuni pensieri e suggerimenti per vivere bene il tempo di Avvento, vorrei fare una breve premessa. Oggi inizia il tempo di Avvento: avvento significa arrivo ed è un tempo di preparazione al Natale dove celebriamo l’arrivo di Dio in Gesù di Nazaret.
Il tempo di Avvento, come tutti sanno, è un periodo di quattro settimane in attesa del Natale di Gesù. Fin da ragazzo mi domandavo: “Perché prepararci alla nascita di Gesù, quando egli è nato già duemila anni fa? Non è una finzione celebrativa?”.
Da credente adulto mi sono reso conto che, invece, il celebrare annualmente la nascita di Gesù ha almeno due opportune istanze:
- Ravvivare la consapevolezza che Gesù è sì venuto, ma egli continua ad abitare sempre con noi, ha posto stabilmente la sua tenda tra di noi. Non siamo quindi soli nel nostro vivere e nel nostro lottare.
- Cogliere che il progetto di Gesù, a cui i Vangeli danno il nome di “Regno”, e che io chiamo il “sogno di Dio”, deve continuamente nascere nella storia, nel mondo. Quasi siamo chiamati ad “attendere” il Natale del mondo nuovo.
- “Fate attenzione, vegliate perché non sapete quando è il momento”.
Qui c’è il grande tema della vigilanza. Vigilare su che cosa? Il vigilare nella nostra cultura cristiana è sempre stato inteso come sorvegliare sul momento della morte, sul prestare attenzione per non farsi trovare impreparati al suo arrivo. Sembra che il prepararsi alla morte fosse l’impegno più imperioso e decisivo del cristiano.
Così è sorta una pastorale essenzialmente rivolta alla morte. Ci si è preoccupati che le persone morissero in “grazia di Dio”. Ma quando si è in “grazia di Dio?”. Anche questo è un interrogativo che domanda nuove risposte. Quando si corrisponde a Dio? Quando si vive pensando alla morte o alla nostra salvezza, o quando si pensa ai problemi degli altri, e si cerca di rendere gli altri più felici, più se stessi? Dal Vangelo scopriamo che il credente non deve tanto pensare alla morte, ma di togliere la fame, la sete, l’emarginazione e creare un mondo sano e giusto.
L’uomo non deve cercare Dio ai limiti della vita, nella morte, ma nel pieno della vita. Dio abita la vita e più questa vita è piena ed è umana più Dio è presente o meglio più rende presente Dio. E Dio, abitando nella vita e nella storia, dal di dentro di essa manda i suoi appelli. A noi uomini e donne tocca interpretarli e accoglierli. Ecco la vigilanza: essere desti nel cogliere i segni di Dio, i suoi arrivi. Dio arriva continuamente, Dio agisce dentro i fatti, bisogna saperli interpretare e per farlo occorre essere vigili, non lasciarsi sopraffare dai beni materiali o essere svagati dai piaceri: una vita sobria e riflessiva è lo spazio propizio per cogliere le spinte verso cui andare sia in campo personale che culturale e sociale. Oggi siamo interamente sommersi da mutamenti culturali, sociali, ecclesiali. Queste frastornanti trasformazioni possono essere lette nel segno della fine, della rovina o nel segno della rinascita, del travaglio di un mondo nuovo e di una Chiesa nuova.
Anche nell’ambito ecclesiale viviamo un cambiamento strutturale di enorme portata. A Vicenza quasi duecento parrocchie non hanno più il parroco residente. Per molti cristiani è uno stordimento. Non potrebbe invece questa carenza di preti, questa ristrutturazione in unità pastorali, dove c’è l’unione di più parrocchie, essere l’avvio di un modo nuovo di fare Chiesa?
Il sociologo cattolico Franco Garelli in un articolo apparso sul giornale la Stampa così si esprime: “Chi vuole la messa sotto casa vive con inquietudine le unità o le comunità pastorali tra più parrocchie. Ma la religiosità è anche vita comunitaria aperta, e se c’è dinamismo tra realtà diverse tutto può diventare più incoraggiante. Se si riesce a creare aggregazione tra le parrocchie della zona si evita di rendere viziata l’aria della propria comunità a causa della chiusura, e vivere così momenti – spirituali e di festa – nuovi e piacevoli”.
Quindi nessun dramma, anzi la speranza!
- “Vegliate perché non sapete a che ora il padrone di casa arriverà”.
L’invito è ripetuto più volte: “Fate attenzione, vegliate”. Questo vegliare è un appello rivolto soprattutto a noi, a guardare noi stessi.
Questo nuovo tempo di Avvento che stiamo per vivere è dunque l’occasione, è il momento favorevole per fermarci, per guardare a noi stessi e a ciò che ci abita. Mettiamo da parte troppo facilmente questa vigilanza su noi stessi, trascinati via dalla vita che ci chiama a mille cose da gestire, siamo dispersi al di fuori di noi, dimenticando di avere cura della nostra interiorità. Questo ci porta a smarrire il senso profondo, a lasciarci andare alle paure, alla tristezza, allo scoraggiamento ed è come se non avessimo più il timone che dà direzione e spessore alla nostra vita. E allora il Signore ci richiama: “State attenti a voi stessi”, quasi “State in guardia da voi stessi perché in voi stessi può crescere e annidarsi ciò che allontana da me, dalla radicalità e dalla semplicità dell’evangelo, ciò che fa perdere luce e forza alla vostra vita, che spegne in voi la gioia di essere discepoli”.
Ci appesantiamo dimenticando che è nella sobrietà e nella spogliazione di sé che troviamo quella libertà per camminare più spediti e più leggeri nella sequela. Quante cose inutili custodiamo in noi senza lasciarle andare, restiamo troppo ancorati a noi stessi, nel bene e nel male, piuttosto di credere alla Parola del Signore che è sempre portatrice di un vento di cambiamento, di una parola di speranza e di fiducia che ci spinge avanti.
- “E’ come un uomo che è partito dopo aver lasciato la propria casa …..ai suoi servi”.
Dio se ne va, si fa da parte, si fida dell’uomo, gli affida il mondo. L’uomo, da parte sua, è investito di questa enorme responsabilità. A noi, e solo a noi, è affidata la custodia, la cura amorevole del creato, a partire dagli uomini, con il loro bisogno di cibo, di salute, di amore, di cultura, alle piante, agli animali, alle acque, all’aria; l’intero universo è affidato a noi.
Non possiamo delegare niente a Dio, perché Dio ha delegato tutto a noi. Allora capiamo perché dobbiamo stare attenti e vegliare: come una mamma con il suo neonato. Non è un obbligo, è una felicità, la felicità del dare e dell’essere soggetti responsabili.
Due piccoli impegni
- Vegliare per imparare a leggere gli avvenimenti.
Aver cura di se stessi, della propria interiorità.