Commento al Vangelo di don Battista Borsato

XXIV domenica del T.O.

Il perdono è buonismo?

In quel tempo Gesù disse: “il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con mee ti restituirò”: Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.

(Mt 18, 21-35)

Oggi il Vangelo ci sottopone il tema del perdono. È un tema che percorre tutto il Vangelo e che ha un’assonanza con la parola misericordia, presente e cara a Papa Francesco. Giustamente secondo lui la misericordia è l’atteggiamento fondamentale di Dio e quindi del credente. Questo atteggiamento è ben descritto o meglio esplicitato nella parabola, detta dei due servi.

Il re, racconta la parabola, di fronte al suo servo che gli deve milioni di euro, davanti alla sua implorazione “ebbe compassione”, cioè “patì insieme” con lui. Sente il dolore del servo, percepisce la sua angoscia. Il dolore del servo viene a contare più del suo diritto. Per il re, che poi è Dio, vale più la persona del denaro e della legge. Il perdono indica il primato della persona anche se sbaglia.

Prima di inoltrarmi a decifrare il senso del perdono e il suo valore, vorrei fare due piccole premesse.

  • Si deve ammettere che la parola perdono non gode di molta simpatia. Sembra che il perdono sconfini con il buonismo. Oggi si vogliono uomini e donne vigorosi e inflessibili che di fronte alle indolenze o alle ingiustizie non siano accondiscendenti. Però confondere perdono con buonismo è una deviazione da correggere. Perdonare non vuol dire giustificare o permettere, non vuol dire neppure non vedere gli errori di una persona e di una situazione. Perdonare vuol dire avvolgere la persona che ha sbagliato con un’attenzione amorosa così grande da darle la forza di rialzarsi. I Padri della Chiesa dicevano: “Bisogna odiare il peccato, ma amare il peccatore”.
  • La giustizia non basta a fare l’uomo nuovo. Il diritto non basta per essere uomini. Anzi, il diritto e la giustizia da soli possono diventare il massimo dell’ingiustizia. Alla linea dell’equivalenza Gesù impone quella dell’eccedenza, il disequilibrio che nasce dalla pietà. Aver pietà, perdonare, come fa Dio, è rompere i rapporti ordinati del dare e dell’avere: è andare oltre la reciprocità.

Per cogliere il senso e il perché perdonare e perdonarci mi servo di tre verbi:

  • Capire. Riconoscere che ogni persona è fragile, debole e che può sbagliare. Tutti siamo “fragili” e “peccatori”. Nell’inseguire i valori ci sono cammini lenti, progressivi a volte barcollanti. Il perdono indica comprendere la debolezza della persona e non essere giudici severi. Questa “comprensione” e “accettazione” va rivolta verso gli altri, ma anche verso se stessi. Non si deve pretendere né dagli altri né da se stessi una realtà già compiuta, siamo tutti in cammino e in questo cammino ci possono essere degli inciampi che ci fanno cadere. Anche Gesù è comprensivo verso le debolezze delle persone. Egli è radicale, ma non rigoroso.
  • Sperare.Sperare significa credere e ritenere che la persona che ha sbagliato o peccato possa risollevarsi. Se uno ha commesso un’azione negativa come il furto, oppure ha ceduto alla tentazione di fare un’esperienza di sostanze stupefacenti oppure ha avuto comportamenti oppressivi verso il coniuge o i figli, non vuol dire che egli sia perduto per sempre, che debba essere definitivamente segnato. Non soltanto la persona può raddrizzarsi, ma addirittura spesso le esperienze negative possono diventare positive. Possono essere la strada per interrogarsi e riproporsi con più determinazione e lucidità.

Il figlio prodigo non scopre il valore della casa e la bontà del padre dopo la amara esperienza dell’allontanamento? Gandhi affermava: “Nessuna persona è caduta tanto in basso che non possa rialzarsi”. Un genitore non può emarginare il figlio quando scopre un suo errore, deve invece ritenere che il figlio ha tutte le risorse per rimettersi in piedi. Se il figlio vede che il padre e la madre credono in lui nonostante lo sbaglio ha certamente la voglia e la forza di riprendere un nuovo cammino. Questo vale per tutte le relazioni: tra sposo e sposa, tra insegnanti e alunni, nei rapporti di lavoro. Perdonare è un gesto di fiducia: è credere che uno sbaglio non può oscurare la persona e tanto meno cancellarla. Forse è il momento per capirsi meglio e generare un nuovo e valido rapporto.

  • Accompagnare. Insisto nel dire che perdonare non vuol dire “permettere” cioè chiudere gli occhi sugli errori di una persona, o sulle ingiustizie, né perdonare vuol dire, ancora meno, “giustificare” chi sbaglia. Perdonare non è permissività, né giustificazione, ma impegno ad accompagnare la persona e darle una mano a riaversi. Se per esempio i genitori vengono a sapere che il figlio, invece che frequentare la scuola, sceglie vie di disimpegno magari aggregandosi ad amici poco affidabili, che cosa può voler dire perdonare? Chiudere gli occhi e accontentarsi di una promessa del figlio?  Vuol dire giustificare il figlio dicendo che è stanco? Che ha bisogno di svago? No. Perdonare vuol dire cercare insieme di cogliere le cause dei suoi comportamenti ed essere poi più presenti per accompagnare il figlio a risollevarsi.  Così se uno sposo o una sposa è poco attento alla relazione di coppia o all’impegno educativo, occorre fermarsi per vagliare insieme le cause e darsi una mano per ricentrarsi. Perdonare quindi, non è permettere o dimenticare, è prendere coscienza di un bisogno, di una difficoltà per portarvi un supplemento di amore e di attenzione. Gesù davanti alla donna adultera, condannata alla lapidazione, ha detto: “Donna, neanch’io ti condanno, ma d’ora in poi non peccare più”. Forse l’espressione più vera, scrive il teologo don Pattaro, quella detta da Gesù è stata: “Donna d’ora in poi io starò vicino a te e tu non peccherai più”. È così che si vive il perdono ed è così che il perdono diventa una forza creatrice.

Due piccoli impegni:

– Perdonare è farsi carico della persona che sbaglia.

– Accettare la fragilità nostra e degli altri è la strada per saper perdonare.