VII domenica di Pasqua – 24 maggio 2020
ASCENSIONE DEL SIGNORE
Andare per imparare
Gli undici apostoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
(Mt 28, 16-20)
L’Ascensione è una festa difficile: come si può far festa per uno che se ne va? Il Signore però non è andato in una zona lontana del cosmo, ma, incredibilmente, è più vicino. Se prima era insieme con i suoi discepoli, ora è dentro di loro. Non è andato al di là delle nubi, è sceso nel profondo delle cose, è andato nell’intimo del creato e delle creature.
Ha scritto Benedetto XVI: “Ascensione non è un percorso cosmico-geografico, ma è la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo”.
Il cristianesimo è la certezza forte e inebriante che tutti i giorni, in tutte le cose, Cristo è presente, forza di ascensione del cosmo. Il Signore non devi conquistarlo, non devi raggiungerlo: è già dentro, si è dato e rimane: “Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.Forse se cerchiamo di sostare su tre parole di questo brano evangelico riusciamo a cogliere intriganti messaggi: andarono in Galilea; essi però dubitarono; andate.
- “Andarono in Galilea”. I discepoli vanno in Galilea secondo l’indicazione che Gesù aveva dato. Perché proprio in Galilea, e non in Giudea che era il centro della vita religiosa giudaica, con il suo sfavillante Tempio di Gerusalemme?
La Galilea era la periferia, anzi era una terra disprezzata e ritenuta zona quasi pagana, perché confinava con i popoli pagani. Gesù scelse di annunciare il regno partendo dalla periferia.
Svolse la sua attività prevalentemente in quella odiata e malfamata terra che era la Galilea. Lì scelse i suoi principali collaboratori, lì proclamò il suo progetto, lì soprattutto realizzò i segni del Regno.
Gesù scelse ciò che è debole per confondere chi è forte e potente. Scelse di stare dalla parte degli ultimi, dei deboli e non dalla parte dei potenti, perché egli era convinto che non è con la potenza e la forza che si crea un mondo nuovo, un mondo umano, ma educando, accendendo le coscienze e ridando dignità ai poveri.
È una scelta che contiene la sua prima grande rivoluzione: l’uomo, di solito, cerca di allearsi con i potenti per attuare il progetto che gli sta a cuore. Gesù, al contrario, si è alleato con i poveri, gli impotenti, perché la novità e il cambiamento non vengono dall’alto, ma dal basso. Chi sta bene non pensa a cambiare le cose. Il cambiamento cammina sulle gambe dei poveri e degli ultimi. Anche per questo Papa Francesco non cessa di spingere i cristiani a partire dalle periferie esistenziali.
- “Essi però dubitarono”. Non sappiamo precisamente cosa voglia dire l’evangelista Matteo con l’espressione “dubitarono”, ma sicuramente intendeva tratteggiare il senso di incertezza che avvolgeva e tormentava i discepoli. Questi si sentivano deboli e fragili nell’intraprendere la loro missione. Ma forse il dubbio, la debolezza, la fragilità esprimono, per Gesù, i veri atteggiamenti del discepolo. Lo dice chiaramente anche Paolo in maniera quasi lapidaria: “Quando sono debole è allora che sono forte”! (2Cor. 12, 7-10). Se uno si sente debole e incerto va in cerca della forza che viene dall’alto e agisce non con la pretesa di avere la verità, ma con il desiderio di cercarla.
Oggi percepiamo che anche la vita consacrata è segnata dal senso del limite, dalla fragilità, dal peccato perdendo la sua immagine forte e volitiva! A questo proposito così si esprime Papa Francesco: “Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la sua testimonianza. Egli dentro le sue debolezze, può diventare più umano, più compassionevole”.
Nel suo libro Non perfetti ma felici, Fratel Michael Davide, così scrive: “Si dice che oggi i religiosi giovani sono fragili, ma forse in passato si era troppo spesso disumani. L’aspra e rigorosa osservanza poteva giocare un ruolo di rassicurazione e autoreferenzialità (sentirsi a posto con i propri doveri), quasi generava un orgoglio religioso. Accettare l’ambiguità che è in noi, saper vivere nella debolezza senza interrompere, ciò nonostante, il cammino e prendere coscienza che mai saremo la persona che abbiamo sognato, un militante puro e duro, è il modo di essere uomini e anche credenti. Occorre saper morire alle attese su noi stessi e saper vivere nella fragilità. Questo non per rinunciare a crescere, ma per accettarci come siamo e vivere in maniera realista: saremo più vicini al pubblicano che si pente e accetta la sua debole umanità, che al fariseo che si sentiva superiore perché era un rigoroso osservante (cfr. Lc 18, 9-14)”.
- “Andate” La chiesa è chiamata ad andare nel mondo per liberarlo, farlo crescere. Il centro della chiesa non è in se stessa, ma nel mondo. Dio non ama tanto la chiesa, ma il mondo e desidera che esso possa svilupparsi secondo il suo progetto di giustizia, di umanità e di crescita anche ecologica. Dio ama si la chiesa purché sia un popolo innamorato come Lui del mondo e si impegni a farlo crescere, sapendolo ascoltare e interpretando gli appelli che in essi lo Spirito invia.
Papa Francesco parla continuamente della chiesa in uscita, che va dentro le situazioni nel segno dell’empatia e della promozione e dice che il vero pastore deve avere “l’odore delle pecore”. La chiesa deve andare al mondo “per dare e per imparare”.
Due piccoli impegni:
– La chiesa dovrebbe ripartire dagli ultimi.
– La persona, come pure il credente, cresce nella fragilità e nel dubbio.